E' già ora di staccare i cavi a Wired

5 gen 2010. Gia' dal suo nome, la rivista cartacea italo-americana più tecnologica mostra il passo: Wired, e in un mondo sempre più  wire-less tanto basterebbe.
Mi ci sono pre-abbonato, ovvero ho chiesto l'abbonamento mesi prima che uscisse il primo numero, memore della storica rivista che a metà degli anni novanta aveva accompagnato l'ascesa del web e del mondo digitale.
A quei tempi la compravo negli aereoporti, qualche volta nelle poche edicole di via Roma a Cagliari che offrono stampa straniera, ed era "ispirante", riusciva a riportare la sensazione di un progresso inarrestabile che avrebbe cambiato tutto. A quella rivista aveva seguito il paradosso della proliferazione di riviste cartacee che parlavano di web, che magari proponevano cd con programmi e informazioni scaricabili da internet, ancora giustificabili in un mondo in cui la connessione per l'utente normale viaggiava sui modem a 56 K.
Poi l'inesorabile declino, giustamente, delle riviste cartacee provocato dalla diffusione del web, e recentemente il tentativo di rilanciare una versione italiana della rivista.

Dopo un apparente inizio interessante, la rivista italiana mostra tutti i suoi limiti.
Graficamente scimmiotta la parte peggiore del web, quella fatta di animazioni flash pirotecniche spesso inutili e irritanti, che con effetti grafici speciali cercano di mascherare il vuoto.
I numeri arrivano con cadenze imprevedibili, gli eventi rendono fastidiosamente superati gli articoli già al momento della pubblicazione, e spesso tutta la rivista si trasforma in un insopportabile marchettone che attraversa trasversalmente articoli, pubblicità, editoriali e non risparmia neanche la striscia wired-tired-expired.

E così anche questo tentativo dei vecchi media finisce per trovare spazio nell'unico angolo della casa dove la carta ha ancora un senso: il bagno.

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